di Adalberto Scemma
“La letteratura sportiva è entrata a pieno titolo tra le materie di insegnamento nelle Università (Facoltà di Scienze motorie) e nei Licei scientifici a indirizzo sportivo. La notizia, in apparenza così banale agli occhi di un profano, indica in realtà un cambio di tendenza per certi aspetti sorprendente: ha avuto finalmente riscontro una richiesta che le Università (rare le eccezioni) hanno ignorato per vent’anni e che i Licei sportivi non avevano mai preso in esame dall’anno della loro istituzione (2013) a oggi.
Indagare le ragioni del lungo blackout è questione di lana caprina. Soprattutto se valutiamo la caratura (paradossalmente quasi nulla) che persino le Facoltà di carattere letterario e linguistico-filologico hanno attribuito per decenni alla letteratura sportiva ignorando deliberatamente l’innovazione radicale del linguaggio operata da Gianni Brera e la presenza militante di scrittori-cronisti di cui basterebbe pronunciare il nome per imporre ai più schifiltosi tra i docenti l’obbligo di mettersi sull’attenti: Dino Buzzati, Orio Vergani, Giovanni Arpino, Luciano Bianciardi, Vittorio Sereni, Mario Soldati, Alfonso Gatto, evitando di citare il pleonasma di Umberto Saba o l’attualità di Gilberto Lonardi, Franco Contorbia e Massimo Raffaeli.
Il cambio di passo, soprattutto per quanto riguarda i Licei scientifici a indirizzo sportivo, è stato dettato due anni fa dal progetto (visionario, perché no?) elaborato da Laura Spiritelli, insegnante di educazione fisica presso il Liceo Belfiore di Mantova, secondo istituto per importanza nel ranking nazionale. Un progetto che altre scuole stanno portando ora avanti utilizzando le medesime coordinate.
«Si trattava – spiega Laura Spiritelli – di creare nuove opportunità didattiche attraverso la creazione di altrettanti nuovi percorsi PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali per l’Orientamento). Il nostro liceo è strutturato con linee guida per l’indirizzo sportivo che abbiamo intitolato “I Mestieri dello Sport”,costruite sulla base di indagini e analisi condotte dall’Osservatorio delle professioni e degli operatori della Scuola dello Sport del CONI. Da queste si evidenzia che il mercato del lavoro sportivo è oggetto di rinnovata attenzione per effetto della notevolissima crescita della domanda di sport, nonché della professionalizzazione degli operatori e delle organizzazioni del settore».
«Negli ultimi trent’anni in Italia – continua la Spiritelli – non c’è stato soltanto un significativo aumento dell’occupazione nello sport ma sono state registrate anche la comparsa e la strutturazione di nuove professioni in questo settore, con profili particolarmente interessanti. Non possiamo negare che la nascita del LISS (liceo scientifico a indirizzo sportivo) coincide proprio con questa nuova richiesta di professionalità qualificata e competente del mondo sportivo. Perché allora non creare nuove progettazioni che, andando incontro alle esigenze del mercato del lavoro, non fossero anche capaci di creare un connubio inscindibile tra la parte culturale che caratterizza un liceo e il suo legame, indubbio, ma non ancora ben sviscerato, con il mondo sportivo? Quindi fare sport, osservare lo sport e saperlo “leggere” per poi essere capaci di analisi e sintesi e, infine, di “raccontarlo” in forma oggettiva, ma anche letterariamente appropriata e curata, usando i linguaggi più innovativi e quella competenza tecnologica che il lookdown ha creato, magari forzatamente, nei ragazzi per arrivare alla strutturazione e creazione di podcast. Legare l’idea al PCTO, poi, permetteva di proporre l’attività a tutta la classe, senza frammentare gli interventi, come avveniva negli anni scolastici precedenti, consentendo all’intero gruppo di sperimentarsi in un’attività non soggetta all’ordinaria valutazione didattica e quindi più vicina a un percorso che voleva essere anche creativo, personale e originale».
L’elemento di novità insito nella proposta (la realizzazione dei podcast, appunto, la capacità di “leggere con le orecchie”!) ha consentito ai ragazzi di cominciare a comprendere la vera essenza del progetto: liberare la creatività (quasi sempre latente) senza alcun vincolo formale. La conclusione del progetto è stata addirittura eclatante come dimostra il Premio CONI Cultura e Sport attribuito al libro “Podcast revolution al Liceo Belfiore”, edito dalla collana La coda del drago e realizzato dai ragazzi della Quarta G con l’insegnante Cecilia Facchini e con l’ideazione e coordinamento di Laura Spiritelli. All’iniziativa hanno collaborato tutor d’eccezione: Diego Alverà, Alberto Brambilla, Massimo Castellani, Paola Colaprisco, Lorenzo Longhi, Claudio Rinaldi, Massimiliano Saccani e Furio Zara.
Detto questo, proviamo a immaginare perché i podcast possono far recuperare alla scrittura tutta la credibilità persa per strada in questi ultimi anni (l’ipotesi è visionaria ma si avvia anche in Italia a trovare riscontro nella realtà). Può sembrare un paradosso ma proprio l’avvento dei podcast, che sono quanto di più moderno, come format, propongono oggi le piattaforme digitali, si avvia a offrire spazi di libertà espressiva fino a ieri improponibili. In realtà il format è talmente antico da apparire primordiale: è quello dei filòs, quando sulle aie nei mesi estivi e d’inverno nelle stalle ci si incantava ad ascoltare ogni tipo di favole, di fiabe, di leggende. È il format dei Carri di Tespi, dei cantastorie, dei trovatori provenzali. Allora serviva un narratore perché erano in pochi a saper leggere e scrivere. Oggi anche chi conosce l’alfabeto sta perdendo l’abitudine alla lettura ma sta imparando, attraverso i podcast, a “leggere con le orecchie”.
Enormi le potenzialità, come ha dimostrato il recentissimo e inarrestabile boom di ascolti. Da un totale di 314.000 ascolti annui (il dato è del 31 dicembre 2019) si è passati in Italia nel 2021 (anche questo dato è del 31 dicembre) a una cifra che supera i 9 milioni e che sfiora oggi, ottobre 2023, i 20 milioni. E la crescita, attenzione, sta ormai diventando esponenziale. Ne volete una prova? Sentite ciò che, su Repubblica, scrive Stefania Parmeggiani: «La voce, il più antico tra gli strumenti di comunicazione, fa irruzione nei social. E all’improvviso sembra non interessarci più controllare le foto di viaggio su Instagram, seguire i tweet sulla crisi di governo o sbirciare la bacheca degli amici su Facebook. Niente video, immagini e testi. Solo voci. Il futuro ha radici antiche. Da quando è nata, la tecnologia richiama alla memoria l’oralità. Da tempo comandiamo alle luci e alla musica di adattarsi ai nostri stati d’animo, chiediamo aiuto a Google o a Siri senza muovere un dito, comunichiamo con messaggi audio, da poco anche con tweet vocali, ci svegliamo con Spotify, ascoltiamo un romanzo e ci addormentiamo con i podcast».
Partiti nei giornali quotidiani dall’età del piombo, dove a fare la differenza era la qualità della scrittura, ci ritroviamo nell’era dell’audio scoprendo che è impensabile ascoltare un podcast senza pretendere da chi ne scrive il testo un’adeguata qualità stilistica. I corsi e ricorsi vichiani percorrono strade indecifrabili ma ci riportano quasi sempre (non è un’ipotesi visionaria) al capolinea. Dopo le iniziali titubanze i ragazzi hanno dimostrato di saper guardare oltre, di mettersi in gioco allo scoperto accettando il rischio di sbagliare e in qualche caso di “osare l’inosabile” cercando soluzioni letterarie coraggiose, ben al di fuori dei canoni tradizionali. Ma hanno anche, e soprattutto, reimparato a scrivere!